Anche gli zingari sono figli di Dio

LETTERA – Perché li aiuta?

Caro Don, avevo molta stima di lei ma da quando si occupa dei problemi dei nomadi, prendendo precise posizioni in loro favore (cosa che non meritano e di cui non le sono grati con il loro comportamento molte volte irresponsabile), mi sto schierando dalla parte di coloro che la criticano. Con quale coraggio, sapendo che rubano, continua ad aiutarli?

Lettera firmata

Gentili lettori,

due anni fa in un momento di forte tensione in via Portogallo uno zingaro alzando la sua bimba di tre anni verso il cielo disse: «Questa bambina è battezzata, noi siamo cristiani, perché ci trattano come le bestie?». L’anno scorso in luglio, presso la parrocchia La Resurrezione abbiamo celebrato il matrimonio tra due zingari (lei Sinta, lui Rom). A pranzo c’erano circa 700 persone.
I parrocchiani dopo avere visto gli sposi e i loro amici in chiesa e poi assieme a tutti a pranzo, hanno commentato: «sono come noi!». Il loro vero nome è Rom (uomo) o meglio Manouches (parola del linguaggio antichissimo sanscrito che vuol dire uomo libero).
Il nome zingaro (intoccabile) glielo abbiamo affibbiato noi. Essi chiamano noi Gagi (uomo schiavo della terra). Quando noi vogliamo fare paura ai nostri bambini diciamo: «ti faccio portare via dagli zingari». Quando loro vogliono spaventare i loro bambini dicono: «ti faccio portare via dai Gagi» (siamo noi).

Gli zingari sono arrivati in Italia a Bologna nel 1422. Sono stati subito rifiutati. Da allora sono trascorsi 570 anni ma non è cambiato nulla nel rapporto tra noi e loro se non le leggi a loro difesa.
Molti di loro sono residenti, specialmente nel Sud, e si dedicano al lavoro (prendono in appalto pulizie, sono rottamai). Altri sono seminomadi e si dedicano agli spettacoli del circo o all’attività con le giostre, o vendono confezioni, alberelli giapponesi (bonsai), ecc.
Un numero limitato sono nomadi che si spostano molto spesso e si dedicano alle elemosine.

Ultimamente sono arrivati i Rom slavi: le donne e i bambini si dedicano al manghel (elemosina) che da loro è considerato lavoro; è in realtà la loro struttura economica di base. Tra gli zingari, ci sono, come fra gli italiani, anche quelli che si dedicano ad attività illecite, specialmente il furto; quando vengono presi vanno in galera e la fanno senza sconti. Fra di loro s’infiltrano anche coloro che delinquono e il racket della malavita.
Gli zingari non mettono i loro bambini in istituti, né i loro vecchi nei ricoveri. È rara la prostituzione. L’Onu li ha riconosciuti come popolo senza territorio. I Paesi della Comunità Europea, compresa l’Italia, hanno emanato disposizioni perché gli zingari abbiano un minimo di accoglienza che permetta loro di sopravvivere. La regione Emilia Romagna ha emanato la legge 47/88 che fa obbligo di attrezzare aree di sosta, transito e a destinazione particolare.

Il sindaco e la giunta di Rimini con coraggio hanno compiuto un atto di giustizia decidendo di realizzare due campi attrezzati. Che cosa bisogna fare? Io dico sempre agli zingari che devono osservare le nostre leggi, che non devono rubare o sfruttare i bambini, e che noi vogliamo rispettare i loro diritti come popolo dando loro un posto ove fermarsi e avere acqua e luce che devono pagare. Non dico di smettere di andare a chiedere l’elemosina perché non mi sentirei sincero: anche noi infatti chiediamo l’elemosina.
Sono tutti ottimi artigiani, diamo loro la possibilità di fare i lavori che sono capaci di fare e di potere avere la licenza per venderli; allora potremo imporre di non girare per l’elemosina.

La Comunità Papa Giovanni XXIII porta i bambini degli zingari a scuola, prepara i bambini alla prima comunione, fa doposcuola e organizza attività per loro. La Caritas manda aiuti.
Io insisto: incontrarsi per capirsi, capirsi per vivere insieme. Noi soffriamo per la situazione attuale: danneggiamenti, furti, comportamenti dannosi. Anch’essi soffrono: uomini disoccupati, condizioni di vita disumane. Togliamo via l’odio, la paura. Anch’essi sono figli di Dio.
Ascoltiamo Papa Giovanni XXIII che diceva: «Insistete su ciò che vi unisce e non su ciò che vi divide». I loro bimbi e i nostri sono capaci di fraternizzare. Noi adulti prendiamo l’esempio dai bambini.


Tratto da un articolo del “Resto del Carlino”
Rubrica “Scrivete a Don Benzi” – 07/02/1993