Il mio Capodanno sulla strada dei dimenticati
Una notte fredda di febbraio, era passata la mezzanotte e ascoltavo le registrazioni sulla segreteria telefonica. Una di queste diceva: «Arnaldo è steso su una panchina in piazza a Rimini. È ubriaco. Secondo me non arriva a domani mattina». Vicino a me c’erano due giovani, Concetta e Sisto, appena ritornati alla vita dalla droga. Partimmo subito. Su una panchina giaceva Arnaldo; Concetta arrivata prima di me, lo chiamò ma non rispose. Pensai, allora, di essere arrivato troppo tardi. L’avevo incontrato qualche giorno prima; era da quindici anni sulla strada e i legami con la sua famiglia erano distrutti. Arrivato alla panchina lo chiamai: «Arnaldo, Arnaldo». Si alzò di scatto ed esclamò: «Finalmente sei venuto, sei venuto». Pochi mesi dopo, Arnaldo morì d’infarto, ma non dimenticherò mai più quelle parole, che per me sono state una consegna. Allora capii che ci sono dei poveri che ci vengono a cercare, ma ce ne sono altri che non vengono. Quelli dobbiamo cercarli noi. Capii anche che i poveri non possono aspettare e prima ancora che diamo loro qualcosa essi ci chiedono che stiamo con loro.
In questa ottica, nell’ultima notte dell’anno siamo partiti per un cammino tra le varie realtà dell’emarginazione.
Prima tappa Colonia «Stella Maris». «I giovani della Comunità Papa Giovanni XXIII offrono la gioia della loro vita agli handicappati gravi e gravissimi, sia fisici che psichici e alle loro famiglie. Questi giovani appartengono ai vari Gruppi Isaia 35, organizzati dalla Comunità». Coraggio, non temete: ecco il vostro Dio, allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno le orecchie dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. «La gioia dei giovani viene dalla nostra scelta», là dove siamo noi lì anche loro (gli handicappati), non si fanno feste per gli handicappati, ma una festa non è tale se non ci sono anche loro. Questi giovani mettono la loro vita con la vita degli handicappati il sabato pomeriggio, la domenica pomeriggio. Le famiglie degli handicappati vengono tolte dalla loro solitudine.
I disabili riprendono il loro ruolo, pietre scartate che vengono scelte come pietre d’angolo e costruttori di società e di storia. L’ultimo dell’anno è uno dei tanti momenti di condivisione di vita. Ci sono anche Case famiglia con i loro figli rigenerati nell’amore. Partecipano anche giovani delle comunità terapeutiche che rinascono attraverso la vita di condivisione. Ci sono altri giovani alla ricerca del senso della vita. Io sono in mezzo a loro per ringraziare con loro il Signore e per «gridare» forte che in questo modo di vivere insieme gratuito c’è un mondo vitale nuovo. I poveri possono sperare. Una via nuova è aperta.
A mezzanotte di Capodanno sono stato in mezzo a loro per celebrare la gioia di una nuova speranza. Dicendo: «Voi siete il futuro della storia. II domani sarà quello che siete voi oggi». Ho salutato i presenti uno per uno, rinnovando a ognuno l’invito a cercare la via, la verità, la vita.
Dalla «Stella Maris» alla stazione Centrale. Sono pochi i viaggiatori in attesa del treno nelle sale di prima e seconda classe. Sono molti coloro che stanno al caldo delle sale senza viaggiare. Sono tossicodipendenti «fatti». Vari di loro sono scappati dalle comunità con la voglia di rientrare. C’è qualche prostituta ormai vecchia e che non riesce più a vendere il suo corpo. Ci sono barboni senza meta ma contenti perché liberi. Essi non hanno il cuore da nessuna parte, aspettano che qualcuno li abbia nel cuore e comprenda la loro dignità. Portiamo i panettoni, il vino, le bibite. Preghiamo, brindiamo, un abbraccio e via. Abbiamo un pulmino preso a prestito, accogliamo coloro che vogliono venire a dormire da noi. Li portiamo a Prada, vicino a Faenza. Il parroco, don Giacomo della Comunità Papa Giovanni XXIII, l’ha data in uso per i senza casa. È una casa semplicissima, ma piena di festa. Coloro che sono accolti, fanno il bagno, cambiano i vestiti, dormono.
Ci sono i nostri giovani che vivono con loro. Al mattino si fa colazione insieme e poi un altro giorno per le vie degli uomini sempre liberi. Dalla stazione ai campi nomadi. In mezzo ai Rom in via Portogallo, circa 20 famiglie. Con loro vivono in permanenza due sorelle e un fratello della nostra Comunità. Un canto, un saluto, una preghiera. La stessa cosa nel campo dei Sinti invia Islanda.
Poi continuiamo il nostro viaggio notturno. Andiamo a Miramare in mezzo alle schiave sfruttate dal racket per fare soldi. Lì c’è A., da poco arrivata in Italia: «Devo pagare 60 milioni, ho sette mesi di tempo». Pensando che se va bene per ogni contatto percepisce 50mila lire, si può capire che cosa è la schiavitù del sesso. A. mi ha detto: «Quando avrò pagato, verrò con te, padre e dedicherò tutta la mia vita a Dio». «Noi non siamo prostitute, siamo schiave», mi dice E.; come possono i cristiani stare a vedere? Perché non ci vengono a liberare?». Lei era costretta a guadagnare un milione al giorno altrimenti anche la tortura. Con loro cantiamo e preghiamo, concludendo con il Padre Nostro in inglese. Mi chiedono Bibbia e corone, anche le protestanti. Quando le ho, le dono a loro. Ogni tanto c’è chi me le regala anche perché da solo non ce la faccio perché costano molto.
Quando saluto queste sorelle, non manca mai il mio invito a cambiare lavoro per amore di Gesù.
Una macedone dopo avermi chiesto se volevo i suoi «servizi», sentendo il mio «no» assoluto, mi ha chiesto: «Perché allora vieni da me?». «Perché Gesù ti ama e anche io ti voglio bene», le ho risposto. Poi mi ha detto: «Voi italiani siete stupidi. Se i vostri maschi non venissero più a comprare il nostro corpo, noi saremmo costrette a ritornare nei nostri paesi ma non correremmo più il rischio di essere uccise. Il mancato pagamento non dipenderebbe da noi. Sono i vostri maschi che pagano il racket».
Nel salone della parrocchia La Resurrezione, alcune centinaia di giovani trascorrono l’ultimo dell’anno insieme. Molti non sono praticanti. In due intervalli parlo con loro. Mi pongono domande sulle scelte di vita che ho compiuto, e altre sul disagio dei giovani. Constato e vedo che dove si realizzano mondi vitali nuovi i giovani rinascono.
Verso le tre del mattino sono andato in due discoteche del pesarese per fare gli auguri di buon anno. Dico ai ragazzi presentì che «la discoteca è uno spazio vitale in cui vi trovate bene per le emozioni vive, per gli incontri che vi offre. Io però vi annuncio e vi partecipo quello che la discoteca non vi può dare. Ciò che salva non è qualcosa ma Qualcuno che risponde alle vostre attese. Egli non vi delude, perché non vi illude».
Perché questo giro notturno? È uno dei tanti che compio settimanalmente per incontrare i fratelli e le sorelle che non vengono spontaneamente. Il sacerdote è padre, il padre cerca i figli ovunque si trovino, e in questa ricerca coinvolge anche i fratelli che sono in casa con il padre.
È pastorale d’assalto o è pastorale che chiede perdono?
Tratto da “Avvenire” – 02/01/1996