MESSA COMUNITARIA DEL 21/03/1992 – 3° DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C

Ringrazio il Signore per la possibilità di celebrare con voi questa Eucarestia e nutrirci insieme del Signore Gesù, Pane di vita, ed essere coinvolti insieme nel suo sacrificio d’amore ed essere da Lui unificati tra di noi. Pane del quale noi ci nutriamo per mantenerci in un solo corpo e in un solo spirito. Quindi, ringrazio tanto il Signore perché in questi ultimi sabati e anche nei futuri raramente io ci potrò essere, perché sono fuori Rimini, nelle diverse zone.

Quindi, ringrazio Iddio perché altri sabati non mi sarà possibile essere qui con voi.

Mi colpisce molto la Parola di Dio di oggi: partiamo dal Vangelo. Avete notato che Pilato, come la storia dice, era un impulsivo di eccezionale crudeltà e quando avveniva una sommossa o aveva l’idea che potesse accadere, il governatore romano era spietato. Pilato ha ucciso un gruppo di Galilei e i farisei, che avevano connesso strettamente sempre castigo e disgrazia e colpa, dicevano: se sono incappati in quella disgrazia lì fino ad essere uccisi, vuol dire che erano colpevoli. Così come di quei diciotto che erano stati schiacciati sotto la torre di Siloe, una delle torri del tempio che sorgeva presso la fontana di Siloe, i farisei dicevano la stessa cosa.

Gesù invece capovolge tutto e dice: volete forse pensare che questi diciotto o quegli altri fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? Lo scandalo era molto forte, perché sia quelli uccisi da Pilato dentro il tempio, sia i diciotto che erano stati schiacciati dalla torre caduta, erano pii, zelanti; erano andati al tempio per pregare. Allora, erano sconvolti e i farisei davano questa risposta: colpevoli, colpevoli!

Il Signore invece capovolge tutto e dice: no, non è quello! Gli avvenimenti sono dei segni, dei segni che ci chiamano a conversione, a cambiamento. Non si può stabilire questa connessione che fate voi tra disgrazia e colpa, non c’entra. Gli avvenimenti sono per tutti noi un segno e tutti noi dagli avvenimenti veniamo chiamati alla conversione.

La parola conversione, che si addice molto a questo periodo di Quaresima, in greco è più significativa di quella in italiano: convertirsi, in italiano, vuol dire voltarsi, fare proprio una “manovra a U”, ritornare indietro, guardare qualche cos’altro. Invece, in greco, è sempre conversione, però è la conversione della mente. Cioè, dice il Signore, se non cambiate mentalità voi perirete tutti quanti. Egli quindi chiede il cambiamento di mentalità e questa conversione avviene cambiando mentalità. Però, come si può cambiare mentalità?

Forse che noi siamo “agganciati” da idee? Non è questo! Non hanno forza le idee per convertire una persona. Noi lo vediamo tra i nostri adolescenti, che possono entusiasmarsi attorno ad un’idea, ma non convertirsi. In realtà, colui che è convinto dell’idea rimane sempre chiuso in se stesso. Non è possibile una conversione se io non mi incontro con qualcuno. Infatti, i nostri adolescenti, i nostri giovani, hanno bisogno di incontrare qualcuno, ma un Qualcuno che è qualcuno in mezzo agli altri. Allora, ecco la conversione: è la conversione a Gesù. Il cambiamento di mentalità è sempre l’effetto di un incontro, e di un incontro con una persona molto precisa, e questa persona è Gesù.

Altre volte io vi ho ripetuto che il cristianesimo non è un insieme di idee, di ideologie, tanto meno di filosofie. Il cristianesimo è una Persona. L’esistenza cristiana non è un insieme di norme, di regole, anzi non ce n’è nessuna; ce lo dice Paolo. Perché chi ama osserva in sé e per sé tutti i comandamenti e nell’amore supera quindi il comando. La vita cristiana è un rapporto personale e comunitario con questa Persona.

Il nostro problema, allora, qual è? È di lasciarci agganciare da Gesù. Questo è il messaggio del Vangelo. Gesù ha detto: «Io, una volta innalzato in cielo, attirerò tutti a me». Io ho la certezza assoluta che il Signore mi attira a Lui, continuamente. Devo però rendermi disponibile. Io ho la certezza assoluta che lo Spirito Santo riempie la nostra vita di Gesù: allora il Signore mi chiede di non spegnere lo Spirito, di non resistere allo Spirito, di non contristare lo Spirito.

La Quaresima, allora, è tutto un modo di essere positivo; è un dare spazio a Gesù, è un entrare in comunione con Lui, è finalmente un dire un sì serio: «Io e te, Gesù, sempre! La mia vita è la tua, o Signore, la tua vita è la mia. Io sono in te». Che chiamata profonda a vivere tutta la nostra vocazione  ad litteram, cioè alla lettera. In fondo, tutta la nostra vita, dall’impiego che uno ha alla professione, dalle case famiglia alle comunità terapeutiche, ai pronto soccorsi (non enumero tutto), non sono altro che palestre di vita, dove momento per momento Lui è dentro di noi, in modo che Lui cresca in noi e noi diminuiamo.

Nella misura che Cristo vi prende dal di dentro, voi diventate adulti; la vostra vita, la nostra vita non è più legata alle circostanze o agli umori delle persone, o se le persone sono buone o cattive, brave o no. Quando la nostra vita è ancora legata alle situazioni esterne, vuol dire che ancora siamo tanto infantili, tanto infantili! Vuol dire che Cristo non domina in noi.

Pensate, quando un fratello dovesse, per esempio, rifiutare la vita insieme, in Comunità, perché un altro fratello ha dei difetti. Voi le sapete le tre fasi del bambino: a due anni il bambino gioca accanto agli altri. Poi dice: io voglio che tu giochi con me; è l’età dei tre anni. E poi, se cresce bene, a cinque dice: io voglio giocare con te. Quanta gente rimane invece ferma alla prima fase, come i bimbi che dicono: non ci sto con te, non gioco più con te!

Ma lo Spirito opera e ci libera. La maturità cristiana non è altro che l’esplosione della gioia nel dire: tu, io, noi siamo chiamati dallo stesso Cristo! Signore Gesù, regna dentro di noi!

Come la neve si scioglie al sole, così i nostri difetti scompaiono. Non resistete a Cristo! Avrete il centuplo in questa vita, in fratelli, sorelle, padri, madri, case… ma non più nostre. Quanto è vero, questo! Avrete le tribolazioni in questa vita, perché sarete perseguitati a causa della giustizia, ma la nostra gioia sarà piena, perché lui ci avrà posseduto. Vi scongiuro, fratelli, nel nome di Dio!

Ci sono i responsabili di tutte le zone qui, in Italia: mancano solo Zambia e Brasile. Questa mattina, mentre meditavamo insieme sulla situazione della Comunità, ci dicevamo com’è importante capire come Cristo è la ragione della nostra vita. Non lasciatevi condizionare dai limiti: noi non stiamo insieme perché siamo buoni ma neanche ci separiamo perché siamo cattivi. Uno che si scandalizza del proprio fratello, almeno in quell’istante, non ama sicuramente, perché chi si scandalizza o non ha mai amato, o certamente in quel momento non ama.

Chi si scandalizza non ama, perché dentro di sé, con una prepotenza tremenda, vuole che l’altro sia come lo pensa lui. Adora Cristo, invece, nel tuo fratello!

Passo subito alla prima lettura. Abbiamo ascoltato una parola stupenda: là nel deserto, vicino al monte Oreb, nell’Arabia, Mosè si sente dire: «Togliti i sandali dai piedi». Era l’atto supremo di umiltà, era l’atto di colui che non accampava diritti. Ancor oggi gli orientali compiono questo gesto: entrando nel loro luogo di culto si cavano le scarpe, si tolgono i sandali, tolgono le calze. Perché? È un gesto che dà la ragione subito Dio: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!»

Quando hai in braccio un bimbo portatore di handicap, ricordati, tu stai su una terra che è santa: togliti i sandali! Il luogo sul quale tu stai è santo, perché Cristo si è confuso fisicamente con lui. Quando curi i malati, togliti i sandali, perché la terra sulla quale tu stai è santa.

Quando accogliete coloro che bestemmiano, coloro che sono drogati, omosessuali, prostitute, quando voi accogliete tutti coloro che sono abbandonati, dice Cristo Signore: togliti i sandali, perché la terra sulla quale tu stai è santa!

Tu devi sapere che il Santo dei Santi ha amato quella creatura e la vuole rinnovare, le vuole dare la vita e l’ha unita a sé nel mistero intimo del corpo mistico di Cristo. Abbi gli occhi per leggere, non leggete secondo gli occhi della carne. Ma come si può fare questo, se non c’è una forte vita interiore, se non c’è una conversione intima, se non c’è una preghiera, una meditazione, un ascolto? Come si fa, se l’uomo non si immerge in Dio, a vedere Dio?

Ricordatevelo sempre: tutte le stanchezze, gli avvilimenti, le delusioni, vengono da noi. Dal Signore viene la capacità di immolarsi per le anime: per sempre, per sempre! È dal Signore che viene la vita. La terra sulla quale tu stai è santa! Dappertutto… nelle cooperative dove siete…

Quanto è infinitamente più grande la santità di Dio dei limiti e dei difetti dei fratelli. Voglia Iddio che il limite dei fratelli non ti impedisca mai di vedere la santità di Dio. E tu hai dato la tua vita al Santo dei Santi! Quando i fratelli si immergono in questa linea qui, pur nel pianto e nel dolore, che è tanto comune, c’è quello che dice Paolo: «sovrabbondo di gioia in ogni mia tribolazione»; perché la mia ricompensa non è qualcosa, ma è Lui che mi ha agganciato a sé e con Lui vivo portando avanti la redenzione.

Fratelli miei, sorelle mie, come vorrei che foste consapevoli della vocazione santa che ci è stata data e come la storia, il mondo e la Chiesa, il popolo, esigono di vedere questa vocazione, non un’altra. Non un’altra! Perché è piaciuto a Dio, attraverso quel cammino, aprire la porta della salvezza, perché siamo nella Chiesa espressione di Chiesa voluta dalla Chiesa.

Quanto più dobbiamo convertirci perché la vocazione sia la nostra stessa vita e la nostra vita la esprima in ogni momento. Vi supplico: tutti quanti voi in fondo state dando la vita al Signore, e proprio perché la state dando a Lui, datela del tutto! Non temete!

«Finalmente, o Signore, tu sei in me!»: è grande questo! Come fai a non stare unito a Dio, se tu pensi che la terra sulla quale tu stai è santa? È il Signore che parla dal roveto, che brucia ma non consuma. È un simbolo questo che indica la perennità della vita spirituale. Dio realmente ha parlato, ma ha preso un simbolo, un’immagine per dirci della perennità della vita in Lui, nel Signore Gesù.

Allora la seconda lettura è stupenda. Camminavano nel deserto, il terribile deserto della vita. Camminavano nel deserto e il Signore li conduceva, come si legge nel Deuteronomio, «come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che avete fatto, finché siete arrivati qui» (Dt 1,31). Però, come dice la seconda lettura, mentre erano nel deserto arido, senz’acqua, bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava. E quella roccia era il Cristo.

Io credo che tante persone si chiederanno, nel vedervi: ma come fanno a continuare a camminare? Per esempio tu, che hai questo tuo figlio da quando è piccolo, tu l’hai avuto così e ti ha chiesto tutto, tutto, tutto. Ti ha fatto abbandonare tutta la vanità. O tu, che non avevi un figlio tuo così, sei diventata madre di tanti figli così, che ti hanno chiesto tutto, fino all’estremo.

La gente si chiede: coma fai a camminare? «e bevevano da una roccia spirituale… e quella roccia era il Cristo» (1Cor 10,4). Vorrei che andando nelle nostre case, nelle famiglie, nelle comunità terapeutiche, dove c’è la cappellina, dove c’è Gesù presente, vorrei che si capisse, entrando in quelle cappelle, come esse siano sempre affollate. Garantite l’adorazione continua; avrete garantito tutto!

Fratelli che avete Gesù fisicamente presente in casa, garantitevi l’adorazione continua. Vi fate il dono più grande! Ditevi l’un l’altro: adesso hai un’ora riservata per te, spendila come vuoi, ma Gesù attende là. Lasciate le altre cose: i lavori aspettano, perché voi fate “il grande lavoro”. E questo dappertutto, perché dappertutto abbiamo Gesù Eucarestia. Allora garantitevi quell’adorazione. Anche nella segreteria, anche lì c’è Gesù.

Ma anche voi in casa, quando i vostri figli rientrano – ve l’ho detto altre volte – e  vi chiedono: «Dov’è papà?», possiate rispondere: «Papà sta pregando». «Dov’è la mamma?», «Sta pregando»: anche in famiglia il mistero di Dio: bevevano di quella roccia!

Le crisi nei nuclei allora non ci saranno più. No, no: splenderà un’altra vita! È la vita di Gesù che questa società attende. Ricordatevi, e concludo, il grido dei greci ai discepoli, a Filippo: «Vogliamo vedere Gesù!» (Gv 12,21). La società non ha altro bisogno da noi se non questo: «Vogliamo vedere Cristo!». E Cristo povero, servo. Vogliamo vedere come una società nuova sta vivendo. Andate fino in fondo, realizzerete il regno di Dio su questa terra. La società del gratuito è insita nella stessa nostra vocazione. Fate in fretta, non attardatevi!

Non abbiate le paure di questo mondo. Il mondo attende la novità della vita. Non crede più a niente questo mondo, neanche ad un Dio astratto. I nostri giovani credono solo se si incontrano con una società in cui i valori sono vissuti da quella società. Ma voi tutti, fratelli che siete qui, tutti anche tu che non sei della Comunità, siete chiamati a fare di Cristo il cuore del mondo.

Ma coi fatti, con la vita. Possa Cristo entusiasmarvi.

Ma quale altra ragione c’è di vivere al di fuori di Cristo Signore?

Signore, Tu sei la nostra vita.


Messa Comunitaria Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Parrocchia La Resurrezione, Rimini – sabato 21 marzo 1992
Omelia di don Oreste Benzi
Letture III domenica di Quaresima – Anno C
Es 3,1-8.13-15; Sal 102; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9